– Sessualità e disabilità (a cura di Zoe Rondini)

Stralcio di intervista sul tema della sessualità nella disabilità che verrà pubblicata integralmente nel prossimo libro di Zoe Rondini, già autrice del libro “Nata viva”

– Per le persone “diverse” ed in particolare per i disabili viversi a pieno l’Amore è spesso un cosa difficile da raggiungere se non una vera e propria utopia.  Cosa si sente di esprimere a riguardo?

Purtroppo è vero, anche se, fortunatamente, non mancano testimonianze di persone disabili che sono riuscite a costruire e a vivere relazioni amorose soddisfacenti. Ritengo, tuttavia, che la sessualità sia un diritto di tutti e pertanto è importante lottare affinché anche i disabili vedano riconosciuto questo loro diritto.
E’ importante capire che tutte le persone hanno un costante desiderio di affetto, di contatti fisici, è un bisogno dell’essere umano e, come tale, appartiene ovviamente anche alle persone disabili.
Spesso, purtroppo, i bisogni sessuali dei disabili vengono “dimenticati”, ma è importante dire che anche i portatori di handicap, sia psichici che fisici che sensoriali, hanno una sessualità.  Qualche volta questa è più evidente, qualche volta è meno esteriorizzata, ma è sempre presente, anche se con le differenze legate all’età, al tipo di deficit e alle peculiarità dell’individuo.

– Nel caso in cui la sessualità del figlio disabile viene repressa dal genitore, come e perché ancora oggi avviene questo fenomeno?

Le famiglie spesso adottano delle modalità difensive per far fronte alla sofferenza che spesso accompagna l’avere un figlio disabile. In modo schematico possiamo distinguere alcune strategie:
  • Strategie di Protezione: in questo caso i bisogni sessuali vengono minimizzati e la persona è vista come un eterno bambino. C’è, inoltre, un’eccessiva tolleranza verso atteggiamenti seduttivi inappropriati, il ridicolizzare e il minimizzare le manifestazioni di sessualità
  • Strategie di Controllo: questa modalità consiste nel limitare i contatti con l’esterno, nell’inibire l’autonomia, e nell’utilizzo di sedativi e farmaci

– Qual è l’approccio giusto quando un genitore si rende conto che il figlio o la figlia disabili sono innamorati?

Direi che la strategia più funzionale è quella di sostenere il figlio nei suoi vissuti, ascoltarlo, accoglierlo senza svalutarlo, ridicolizzarlo o impaurirsi. E’ anche importante essere aperti al dialogo (senza imporlo o essere invadenti!) e dare informazioni per la tutela della salute e per evitare eventuali gravidanze indesiderate, anche se le situazioni vanno valutate caso per caso, soprattutto in base al tipo e alla gravità della disabilità: non è assolutamente detto che si arrivi ad un rapporto sessuale completo. Trovare l’occasione per fare un po’ di educazione affettivo-sessuale è fondamentale per porre le basi affinché la persona disabile sia in grado di prendere decisioni in questo campo e sia in grado di discriminare le situazioni pericolose. E’ bene dare strumenti affinché la persona possa dare nome a ciò che sta provando, possa riconoscere ciò che sta sentendo a livello emozionale e corporeo. Bisogna usare un linguaggio chiaro e semplice chiamando le cose con il proprio nome per dare un’immagine serena dei sentimenti, delle emozioni e della sessualità, non c’è niente di male o di “sporco” in ciò che sta accadendo. Fondamentale è anche rispondere a eventuali domande che la persona può porre perché rappresentano un’esigenza che richiede di essere soddisfatta. E’ poi importante essere pronti ad accogliere possibili frustrazioni relazionali perché è possibile che arrivi qualche rifiuto…  L’innamoramento e la sessualità sono esperienze intime, quindi è fondamentale anche rispettare la privacy e, una volta che il contesto è stato reso sicuro e protetto da eventuali pericoli, lasciamo che il proprio figlio faccia le sue esperienze. Per arrivare a questo, però, è fondamentale che i genitori per primi siano sereni rispetto alla sessualità e alla disabilità del proprio figlio. E’ poi utile tenere presente che, in caso di necessità, ci sono persone esperte e competenti a cui è possibile rivolgersi per chiedere aiuto o avere informazioni.

– Negli ultimi anni si parla molto del “diritto alla sessualità” anche per chi ha un handicap cognitivo. A suo avviso, queste persone come vivono l’amore e la sessualità? Potrebbero capire e viversi certe fasi dell’amore in modo consapevole, libero e travolgente?

Anche in questo caso bisogna valutare caso per caso in base al livello di gravità dell’handicap. Spesso l’handicap cognitivo si accompagna ad un ritardo dello sviluppo della sessualità, in particolare un ritardo dello sviluppo dei caratteri secondari (sviluppo del seno, età di comparsa della peluria), della comparsa del menarca o una possibile sterilità.
Lo sviluppo psicologico dei portatori di handicap mentale è comunque più lento rispetto a quello fisico e sessuale, inoltre, enorme è la difficoltà del portatore di handicap a comprendere i cambiamenti che si verificano in lui: infatti, l’integrazione corpo-mente non avviene in modo armonico anche perché molto spesso questo provoca angoscia nella propria famiglia.
Non esiste, però, una sessualità valida per tutte le persone con disabilità cognitiva a causa dell’eterogeneità della popolazione con tale handicap e, soprattutto, bisogna tenere conto delle condizioni di vita di tali persone e della possibilità più o meno ampia di incontrare possibili partner.
Inoltre, la ricchezza della sessualità di persone con handicap cognitivo dipende dal grado di libertà che viene concessa loro dalla famiglia o dalle strutture in cui sono ospitati (in alcuni casi, ad esempio, maschi e femmine vengono tenuti separati). Anche la costante presenza dell’accompagnatore influisce sulla possibilità di vivere la propria sessualità.
La manifestazione sessuale più frequente, indipendentemente dalla gravità dell’handicap e dal sesso, è costituita dalla manipolazione degli organi genitali e della masturbazione, in particolare, nei casi di handicap grave questo avviene per il 75% degli uomini e il 65% delle donne.
Nei casi di handicap grave la masturbazione assume un carattere ripetitivo, permanente, simile alle stereotipie proprie degli autistici e può essere accompagnata da un atteggiamento di assenza di pudore.
Tali comportamenti frequentemente provocano in chi vive accanto a queste persone atteggiamenti di intolleranza e di conseguente rifiuto. La masturbazione oltre ad essere piacevole e a permettere la scoperta del proprio corpo e della propria sessualità (questo vale per tutti, disabili e non!), nell’handicap può assumere altre funzioni: riempire la noia o la solitudine, sostituire comportamenti aggressivi dovuti alla frustrazione, placare l’ansia, attirare attenzione non altrimenti ottenibile.
E’ importante che si insegnino i luoghi e i tempi adatti per la masturbazione, il concetto di “pubblico e privato”. Ci vuole tempo, costanza, pazienza perché non sempre i risultati arrivano subito… E’ importante anche, quando si vuole eliminare un comportamento problematico, non negare mai tale comportamento senza fornire alternative: il comportamento, infatti, va sostituito e non vietato.
La sessualità può essere vissuta anche come una forma di curiosità attraverso le esplorazioni manuali e visive delle zone sessuali di altre persone, oppure può essere vissuta sottoforma di amicizia o come legame platonico che spesso i portatori di handicap medio o lieve stringono tra loro. In altri casi possono essere vissuti veri e propri “flirt” senza però giungere necessariamente ad un rapporto sessuale completo.
Accade spesso, soprattutto da parte delle donne, che vengano avanzate richieste di matrimonio che, al tempo stesso, assumono il significato di normalizzare e, a volte, di negare il proprio handicap.
In altri casi, il matrimonio può rappresentare l’unica soluzione per poter abbandonare l’istituto, la stessa famiglia o un’opportunità di “rassicurazione” attraverso una relazione stabile e gratificante.

– In molti paesi Europei esiste la figura “dell’assistente sessuale”; una particolare terapista della sessualità per le persone disabili. In Italia si sta facendo di tutto affinché venga introdotta e regolamentata. Conosce questa figura? Qual è la sua opinione a riguardo?

Sì, conosco questa figura professionale. Credo che l’opinione più importante sia quella delle persone disabili e, per le testimonianze che ho potuto ascoltare, è una figura apprezzata e ben vista dalla maggior parte delle persone. Personalmente vedo in modo positivo la presenza dell’assistente sessuale perché si tratta di un professionista a tutti gli effetti che lavora seguendo determinate regole e dopo aver compiuto un percorso di formazione. La professionalità di tali operatori garantisce sicuramente la dignità della persona disabile che, spesso, si trova invece costretta a ricorrere alle prostitute per avere un contatto fisico. La figura dell’assistente sessuale, inoltre, risolverebbe un altro grosso problema legato alle dinamiche familiari: molte madri, per amore e disperazione, si trovano a masturbare personalmente il proprio figlio e questo crea in loro un vissuto interno terribile. Con l’assistente sessuale si eviterebbero queste situazioni. Quello che però rimane un nodo irrisolto è la possibilità di avere contatti fisici e sessuali all’interno di una relazione affettiva di amore. Un altro aspetto che, probabilmente, migliorerebbe con l’assistente sessuale è la discrepanza tra sessualità nei disabili maschi e femmine: si è osservato, infatti, che per le femmine la possibilità di soddisfazione sessuale si è rivelata più difficile, mentre per i maschi è più frequente il ricorso alle prostitute. Per le femmine, la via della repressione è quella più utilizzata, spesso coinvolgendo le persone in attività alternative e compensatorie.

 – Nel nostro paese come viene vissuta e percepita la sessualità dei disabili? Ci sono dei fattori storici e/o sociali che hanno influito, sia in mondo positivo sia in modo negativo, su un cambiamento culturale nell’ambito dell’affettività, dell’amore e della sessualità?

In questi ultimi 20 anni, nonostante la società si sia fatta sempre più  promotrice di ideali come bellezza,  perfezione e efficienza, grazie all’indebolimento dei tradizionali tabù e all’ampliamento delle coscienze sociali, al maggiore riconoscimento dei diritti e delle esigenze delle persone con handicap, si incomincia a parlare di sessualità e disabilità.
In passato si era propensi a trascurare l’idea che le persone con handicap avessero sentimenti e bisogni sessuali, poiché l’uso della stessa etichetta di “handicappati” impediva di guardare oltre.
A livello sociale, tuttavia, il disabile è ancora troppo spesso identificato con il suo deficit, negando così all’individuo la complessità dei suoi sentimenti, della sua originalità, dei suoi bisogni, della sua persona.
Ancora oggi, quindi, nella nostra cultura sono presenti aspetti difensivi nei confronti della sessualità dei diversamente abili, soprattutto verso le persone che hanno un handicap mentale. Principalmente assistiamo a 3 atteggiamenti di fondo che rappresentano false credenze:
  • I portatori di handicap come iposessuati o addirittura asessuati: in questo caso si ha un atteggiamento di diniego, come se il problema non esistesse e si potesse ignorare.
  • I disabili mentali come ipersessuati, privi di inibizioni e perversi: in questo caso c’è un’esaltazione del potenziale pericolo, quindi la soluzione è data dall’adozione di misure preventive e repressive che finisco con l’annullare il problema. In realtà ciò che manca ad alcuni disabili mentali non è la capacità di controllo, ma l’apprendimento che viene dall’esperienza e dall’ambiente.
  • Il desiderio di voler a tutti i costi “sessualizzare” i portatori di handicap (soprattutto mentale) evidenziando presunti bisogni e pulsioni sessuali che spesso, invece, sono solo nostre proiezioni: è l’atteggiamento difensivo presente in chi sposa posizioni moderne e aperte; si aspira ad un’apparente normalizzazione che finisce col non accogliere l’altro nella sua vera essenza, nella sua realtà di disabile e nelle difficoltà che può incontrare.
Inoltre, le persone con handicap mentale sono spesso considerate degli eterni bambini, sulla base di ciò si tende fortemente a negare i bisogni sessuali della persona.
Gli adolescenti e gli adulti disabili non sono eterni bambini! Come le altre persone essi hanno desideri, bisogni, una vita sessuale, sociale, emozionale e intellettuale che varia da soggetto a soggetto.
Questi atteggiamenti difensivi tendono in direzione contraria a un’espressione adeguata della sfera sessuale e limitano la possibilità di affrontare organicamente tutti gli aspetti connessi alla vita sessuale dei disabili.

– I sensi di colpa dei genitori nel confronti del figlio disabile e i sensi di colpa del disabile per essere “diverso” incidono, e se incidono le chiederei in che modo; sull’affettività, sull’amore e sulla sessualità della persona con un handicap?

Da un punto di vista squisitamente psicologico, chi nasce con un handicap psichico o fisico ha subìto profonde ferite interne e, spesso, anche i genitori vivono una ferita: possono sentirsi inadeguati in quanto hanno creato un figlio “diverso”. Questo vissuto emotivo, probabilmente, li legherà al figlio influenzando le dinamiche familiari e la crescita del bambino. Si potrà avere, ad esempio, una drastica riduzione di contatto corporeo con il figlio, oppure un iperinvestimento sul figlio con la sensazione che solo i genitori potranno effettivamente seguirlo ed amarlo. Questo bagaglio esperienziale porta la persona disabile ad una difficoltà, se non impossibilità, di raggiungere lo stadio di individuazione, una fase necessaria per lo sviluppo perché è quella in cui una persona si separa dai genitori per esplorare l’ambiente, per scoprirsi, conoscersi e costruirsi come individuo unico e consapevole di sé. Se questo processo non avviene, il disabile stesso metterà un muro nei confronti degli altri e del mondo influenzando, così, anche la propria sessualità. Il disabile stesso, quindi, sarà il primo ad avere pregiudizi riguardo alla sua “sessualità”, non si permetterà di andare “oltre” la dipendenza dalle figure significative e lo stato di bisogno, rimuoverà il desiderio sessuale dalla propria vita.
La cultura crea altre barriere spesso invalicabili legate all’immagine della “sanità” come prestanza, forza, seduzione, fisicità, bellezza esteriore che non semplificano le cose… L’identità, infatti, deriva dall’immagine che ciascuno ha di sé, ma questa a sua volta deriva sia da come ci percepiamo, sia da come siamo percepiti dagli altri. Se la società e le figure significative percepiscono il soggetto disabile con compassione, repulsione, la persona si identificherà con questa immagine, sentirà che non è investita di dimensioni affettive, erotiche, di stima, di valorizzazione e ne assumerà il ruolo compromettendo la sua autostima e la sua affettività.
Ecco che, allora, la famiglia ha un ruolo molto importante nel favorire un sano sviluppo della sessualità nel disabile. Quando i genitori diventano capaci di rielaborare l’idea di non aver avuto il figlio “perfetto” che avrebbero desiderato e fanno spazio alla “diversità” (senza negarla o rifiutarla!!), riusciranno anche a separarsi dal figlio (favorire processo di separazione-individiazione) e ad avere anche una propria vita di coppia senza finalizzarsi totalmente al figlio, favoriranno la crescita dell’autostima, lo aiuteranno ad orientarsi e a sperimentarsi nel mondo delle relazioni umane. Il disabile deve essere aiutato e stimolato nella realizzazione delle proprie potenzialità (realistiche e non illusorie) in campo sessuale, affettivo, interpersonale, sociale e creativo per facilitare l’accettazione della propria diversità. Per fare questo è fondamentale rinuncia al “pensiero magico” di poter modificare ciò che modificabile non è, accettarsi con le proprie limitazioni e incongruenze per sviluppare le proprie potenzialità reali. Questo, in fondo, vale per ciascuno di noi, ognuno di noi è deficitario in qualche settore della propria vita.
Ognuno, poi, avrà un suo modo originale di tradurre, a livello comportamentale, ciò che ritiene sia la sessualità attingendo alla propria esperienza, alla propria sensibilità, alla propria storia ed anche al proprio handicap. E’ importante uscire da uno schema rigido e riduttivo della sessualità così come è importante uscire da uno schema rigido di rapporto sessuale. La sessualità è un modo di stare nel mondo, di donarsi e rapportarsi all’altro, è intimità, complicità, condivisione. Si vedrà soventemente che ciò che viene ricercato non è tanto (o solo) l’accoppiamento sessuale, quanto la necessità di soddisfare bisogni relazionali ed affettivi.

– La famiglia, le istituzioni, le cooperative, i centri diurni, cosa fanno e cosa potrebbero fare per aiutare un ragazzo con una disabilità motoria o sensoriale ad uscire di casa e crearsi una vita indipendente? Si potrebbe creare qualcosa di nuovo per agevolare questo importante passo?

Certamente! E’ importantissimo fare dei progetti mirati proprio a promuovere l’autonomia delle persone disabili valutando gli obiettivi realistici per ciascuno. E’ importante il lavoro di squadra con professionisti preparati, ricordando però sempre che la cosa principale è ascoltare la persona disabile, capire quali sono i suoi desideri, le sue esigenze, le sue difficoltà, valutare insieme che cosa è realistico e cosa non lo è e, soprattutto, è fondamentale scoprire e far leva sulle risorse personali, materiali e della rete di sostegno/sociale a cui si può attingere per promuovere l’autonomia.
Può essere anche utile creare dei gruppi tra persone disabili per creare momenti di confronto in modo che chi è riuscito a raggiungere un livello di autonomia maggiore possa dare sostegno e aiuto tramite la propria esperienza a chi è ancora all’inizio del percorso verso l’autonomia.
L’altra cosa fondamentale, a mio avviso, è fare formazione agli operatori/volontari che si occupano di persone disabili in modo da poter dare loro maggiori strumenti per promuovere l’autonomia: ad esempio può capitare che gli operatori aiutino i disabili su cose che, invece, potrebbero fare da soli con i loro tempi e le loro modalità; oppure capita  che abbiano delle aspettative troppo elevate che causano nella persona disabile un senso di frustrazione inutile e dannoso per l’autostima. Lo stesso vale per i genitori: è importante lavorare anche su di loro, magari tramite gruppi di sostegno, gruppi di auto-aiuto, gruppi educativi e formativi. L’obiettivo è quello di aiutare i genitori a elaborare la disabilità del proprio figlio, il vissuto che si portano dentro per migliorare il rapporto con il figlio in modo che il legame sia equilibrato e non iperprotettivo o distanziante. Un altro obiettivo è quello di aiutare i genitori a ritrovare la loro vita individuale, sociale e di coppia (se presente) perché troppo spesso i genitori si annullano per dedicarsi completamente al figlio disabile. Solo con un rapporto equilibrato, fiducioso e un pizzico di “sano egoismo” anche i genitori potranno contribuire allo sviluppo dell’autonomia del proprio figlio.